venerdì 25 novembre 2011

Ilpostdelvenerdì: Getting Ready for CSS

Io e i Cansei de Ser Sexy abbiamo un passato. Certo non è un passato lungo e non è un passato passato da molto perché, né io, né loro, ce lo possiamo permettere, anagraficamente parlando.
Nel 2006 quando è uscito Donkey dormivo un letargo musicale che mi teneva lontano da qualsiasi stimolo minimamente poppeggiante. A 2 anni di distanza ero un synth-electro-pop tossicomane all'ultimo stadio. A quell'epoca risale l'idillio con Donkey e, in differita, con CSS. Qualche mese dopo anche mia nonna canticchiava Poker Face e nulla sarebbe stato uguale a prima...o anche no.
Quanto sopra per spiegare tutte le giuggiole andate in brodo quando ho saputo che i CSS sarebbero passati per Bologna; stasera all'Estragon, 15 carte. Come si fa a non amare un gruppo con un nome così, con quei suoni synth così cheap  e delle T-shirt ancora più cheap:                                             ?
Arriverò un po' impreparato all'appuntamento di stasera: ho sentito qualcosina dell'ultima uscita - La Liberaciòn (L'accento va dall'altra parte ovvero Una laurea in lingue buttata nel cesso) - soltanto dai video più o meno tarocchi di Youtube e non mi pare che Lovefoxxx & Co. possano raggiungere le vette artistiche di Meeting Paris Hilton:
I, I went to the bitch - the bitch was so hot
She came to me and said:
"Do you like the bitch, bitch?"
I said back - I wanna take you home, bitch
Cause I wanna treat you good, bitch
What do you think of it, bitch?
The bitch said yeah
(The bitch said yeah)
The bitch said yeah yeah yeah yeah yeah
The bitch said yeah
(The bitch said yeah)
The bitch said oh yeah! hell yeah! damn yeah!
Sublime.
Di sicuro stasera i piatti forti saranno paranza di neuroni e chiappe danzanti alla griglia. Nel frattempo, per ingannare l'attesa, mi faccio una torta con la ricetta della Lovefoxxx: http://www.mediafire.com/?rv7ar7ne2phnx43. La ricetta c'è davvero,  insieme a un mixtape sul tema Svarioni in cucina, come è vero - stento a crederlo - che i CSS hanno riesumato  Bobby Gillespie (ex The Jesus and the Mary Chain, ex Primal Scream). Il risultato di questa seduta spiritica finita male te lo regalano e te lo mandano per email se hai abbastanza fegato:



Qui la Lovefoxxx in tutto il suo bitch-spledore :

Let's Make Love and Listen to Death from Above. Amen.

lunedì 21 novembre 2011

The Shrine/An Argument Video

Perfetta coincidenza. Ancora con il concerto negli occhi, proprio oggi, bazzicando dalle parti di Pitchfork (questo link è inutile: ci si trova lo stesso identico post qui presente, soltanto molto meno fico...), mi imbatto nel nuovo video dei Fleet Foxes e per una volta imparo anche qualcosa di interessante dagli amici del blog più indie del web: il clip è diretto dal fratello di Robin Pecknold, Sean. Meraviglia delle meraviglie, apro il sito del buon Sean e scopro che ne ha fatti diversi di video, non solo per i FF, e che ha creato le projections (pura pigrizia mentale: sicuramente esiste una traduzione italiana consona ma oddio...non mi viene e comunque anche se mi venisse sarebbe così uncool...) per il tour della band, proprio quelle che si sono viste l'altra sera all'Estragon.


I'm not one to ever pray for mercy
Or to wish on pennies in the fountain or the shrine
But that day you know I left my money
And I thought of you only
All that copper glowing fine
Trippy Trippy...

domenica 20 novembre 2011

Fleet Foxes Live

Metti una sera invernale dove finisce la città e comincia quel mare sporco, lattiginoso e macchiato di luci che si chiama Pianura Padana. Metti un posto qualsiasi con i suoi angoli bui, la sua gente e i suoi odori. Entraci. In fondo ci sono i Fleet Foxes sul palco. E' presto. Non è l'ora per un concerto; è più l'ora per una storia della buona notte. E infatti, quando i Fleet Foxes attaccano, comincia un viaggio attraverso un mondo magico e misterioso. La loro musica è una pastorale che canta la nostaglia per una terra senza luogo (one day at Innisfree...) e senza tempo (il 2011? L'Anno Mille? La Grande Depressione?). Stai lì a guardare e a ascoltare...ssshhh...senza parlare per non rompere l'incantesimo. Quando Robin Pecknold -- solo sul palco -- presenta un pezzo nuovo -- I Let You, il pubblico spontaneamente gli dedica un'attenzione religiosa.
Semplici e potenti.
Ho aspettato fino alla fine Montezuma ma non è mai arrivata. Hanno chiuso invece con Helplessness Blues: “Someday I will be like the man on the screen”. No. Spero proprio che i Fleet Foxes non diventino mai come tanti men on the screen che si vedono in giro; sono troppo belli così.

venerdì 18 novembre 2011

Ilpostdelvenerdì: Light Asylum

Non si può conoscere il/la fine di ciò che cominciamo. Eppure non inizieremmo mai se già da sempre non avessimo all'orizzonte il/la fine di ciò che iniziamo a fare. L'inizio è sempre una frattura, la fine sempre, in una certa misura, in-finitamente irraggiungibile. 
Il postdelvenerdì è la frattura che segna l'inizio del deferimento della fine di un week-end. 
Ci si può ragionevolmente attendere alcune cose dal futuro ma ciò che veramente si aspetta è l'evento, proprio ciò che non è possibile aspettar-si. La scrittura rende possibile questa attesa perché i nomi fanno spazio a ciò che è impossibile attendere: amore, felicità, tu.
Non so cosa aspettarmi da questo week-end ma se sarà come i Light Asylum
allora sicuramente sarà dark, acido e estremamente glow-fi.


Vedi anche: 
...hanno pure un blog (fico) ovviamente molto dark, acido e glow-fi.

domenica 13 novembre 2011

Chill Them All Out: Keep Shelly in Athens


I Keep Shelly in Athens sono in giro da un paio di anni e hanno messo fuori due EP e alcuni remix. Apparentemente vengono dalla Grecia e più evidentemente sono in due. La cosa eclatante da registrare però è la mia quasi totale mancanza di attenzione per loro. Imperdonabile. Così, come contrappasso, in questi giorni sono a nastro sul lettore, sia In Love with Dusk, sia Our Own Dream, uscito un paio di mesi fa per Forest Family, molto Forest Family (Gauntlet Hair, Sleep ∞ Over, Cults). C'è del Chill Out anni Novanta nel loro dna -- Lamb, Nightmare on Wax, Boards of Canada sono i nomi che salgono per primi sulla punta della lingua -- ma con in più una vena acida e disco-malinconica che li colloca decisamente nel nostro tempo. Una spanna sopra alla marmaglia Chill Wave che circola ultimamente per originalità, concretezza e carattere, forse solo i Purity Ring, se e quando usciranno con un disco, potrebbero fargli il culo.


E allora è arrivata la domenica dopo i fasti del w-end: qualcuno ne sarà uscito col cagotto per troppe castagne e troppo vino (mai successo a San Martino? ...gente di città...), qualcuno avrà fatto casino sotto il Quirinale tutta la notte (era proprio necessario?); io personalmente ho dormito, ho mangiato e ho bloggato (e ti pare poco...). Qualunque cosa sia successo, è il momento del ripiglio sotto il piumone; spingo play, alzo un ticchio e mi godo Lazy Noon:
 
Poi guardo la copertina di Our Own Dream, chiudo gli occhi e parte il pezzo omonimo:


Proprio un bel dream...


Chi ne volesse ascoltare un'altra bellissima -- DIY -- può andare a trovare Gorilla VsBear oppure fare una capatina su Spinner per ascoltare in streaming l'intero album in anteprima.

sabato 12 novembre 2011

Ilpostdelvenerdì: Moves Like S**T!



Ecco redivivo Ilpostdelvenerdì anche se forse dovrebbe cambiare nome visto che arriva sempre il sabato. Per quanto me ne frega della puntualità dell'unica rubrica di questo blog, è lo spirito del Postdelvenerdì che conta. E infatti per questo giro Ilpostdelvenerdì ospita un pezzo – non posso credere che lo stia facendo davvero – veramente, veramente dancereccio. Non parlo di un dancereccio IDM, quel geniale patacchino musicale dietro al quale orde di nerds – eccomi, ci sono anch'io! – si sono nascosti per poter entrare in discoteca sotto copertura senza confessare a loro stessi la loro anima tamarra, ma di un dancereccio veramente, veramente, pillaro.

(pillaro: agg. qual., di basso profilo e/o di scarso spessore intellettuale e/o culturale, zoro, tamarro. Es. Lo sticker che hai attaccato sul tuo vespino è proprio pillaro. Uso giovanile, centro-centro Italia, origine incerta)

Un po' come “la pubblicità” (così la chiamavamo io e mia nonna nel centro-centro Italia, ora si chiama junk mail) del discount o del kebbabaro di quartiere che ti mettono nella noiosissima casella di posta non virtuale, ho trovato un remix – e un brivido di raccapriccio corre lungo la mia schiena al solo vedere la parola sullo schermo – di Moves Like Jagger postato niente poco di meno che da tal Hit Mechaniks  direttamente nella mia inbox di Soundcloud. Metto su il pezzo e in un attimo la mia mente si inchioda al ricordo di estati adolescenziali passate al bordo di un autoscontro. Quelle notti odoravano di talco (prodigiosi effetti speciali dei giostrai maremmani) e merda di pony. Nei miei occhi c'erano i riflessi della strobo e le tette delle tipe strette nei toppini bianchi stile Non è la Rai, nelle orecchie The Rhythm of the Night di Corona.
Come il fantasma Dickensiano di A Christmas Carol (sì, quello del cartone di Natale con Zio Paperone della Disney...perDianacacciatrice, se non bisogna sempre spingere tutto in basso...), Moves Like Jagger mi ha riportato al bordo di quella pista, di fronte al beat tamarro, alle vocine synthetizzate e a tutti gli annessi e connessi della dance più anni 90 e ho realizzato – scintillante epifania – che, al di là dell'"evoluzione” degli stili e delle tendenze, lo spirito tamarro è ancora il cuore pulsante di questa meravigliosa fanghiglia chiamata pop in cui ci muoviamo ogni giorno e soprattutto che lo stesso spirito, in fondo in fondo, è la scintilla che ancora mi fa muovere il culo all'interno di capannoni di periferia male illuminati; cambia la musica ma l'odore di talco e merda di pony lo sento ancora in fondo alla gola. E allora, Shake your asses (like Jagger):
Moves Like Jagger (Hit Mechaniks Remix) by Hitmechaniks

Il video della canzone originale non lo posto perché ancora vorrei conservare un briciolo di rispetto nei confronti di me stesso; ne offrirò invece una breve sinossi.
Si vede il dio Mick Jagger in fillmati BBC d'antan, supergnocche che ballano tipo cloni (pop-miracolo!) del dio suddetto, il tipo dei Maroon Five che sballetta seminudo con la sua solita faccia da schiaffi ma in più pieno di tatuaggi e Christina Aguilera molto gonfia. Dal video si possono facilmente desumere anche le abitudini alimentari delle 2 suddette pop stars: il primo si è mangiato tutte le anfetamine, la seconda tutto il cortisone. Da un punto di vista strettamente teologico invece Mick Jagger è e rimane un dio nonostante Moves Like Jagger.

lunedì 7 novembre 2011

Apparat Live


Non è per dovere di cronaca (quello non sono tenuto a assolverlo perché nessuno mi paga) ma perché sinceramente penso che Apparat (+ Band) se le merita 2 righe dopo il concerto di ieri.
Avevo già delirato su Sascha Ring e il suo Devil's Walk qui e ici. Le buone sensazioni che mi avevano trasmesso il disco e il cambio di pelle di Apparat – dalla consolle alla chitarra, dall'elettronica all'indie – sono state confermate in pieno dalla performance live. Apparat ha messo su una band “seria” e si sente. Grande coesione, un indie rock con un forte influsso elettronico (ma va?!) pulito, solido e originale al quale la voce di Ring aggiunge il giusto tocco di personalità e ne esalta la vena malinconica.
La cosa più bella di ieri sera: il piccolo folletto berlinese suona e si diverte e la sua serenità e positività sono contagiose. Voglio dire...se non vi è mai capitato di andare a sentire il concerto di qualcuno che magari stimate ma che suona tutto il tempo con un muso lungo come una Quaresima, si fa i cazzi suoi e non si caca di striscio il pubblico, beh bella per voi; a me è successo più di una volta ma non ieri sera. A conferma della passione che Apparat ci mette, il finale di concerto con le rese elettriche di un paio di pezzi di Walls regalate di cuore e assolutamente ben accolte.
La canzone preferita (per me): Candil De La Calle

La canzone preferita di Apparat (a sua detta): Black Water


Qui c'è una recensione (ovviamente molto meno fica della mia...scherzo Rock Shock...) del concerto di Apparat a Roma della scorsa settimana. La segnalo per le fotografie che danno un'idea dell'allestimento del palco a proposito del quale devo confessare: le romantiche lucine gialle su di me hanno avuto effetto, forse perchè mi hanno ricordato le candele dell'Unplugged dei Nirvana.
Qui c'è la recensione di Pitchfork su Devil's Walk che non condividevo quasi per nulla un mese fa e che ora, dopo il concerto, condivido ancora meno...forse dovrei smettere di leggerle...
6.6? Un po' pochino forse...
9.1 a M83? Andiamo!
...No no no, davvero, penso che Hurry Up, We're Dreaming sia fichissimo...è solo che...va beh, lasciamo stare...

domenica 6 novembre 2011

Ipotesi per un'applicazione esistenziale del concetto di apparato di cattura


Al posto di questo post doveva esserci la recensione del concerto di Apparat. Invece, proprio Apparat ha prodotto questo post.
Per tutta la giornata di ieri e per tutto il concerto non potuto resistere agli echi deleuziani del nome d'arte di Sasha Ring è ho continuato a produrre associazioni su questa singolare coincidenza. Il risultato è questo post in cui cercherò di formulare un'ipotesi strategica che serva a affrontare l'empasse personale e esistenziale descritta nel post precedente.
Un apparato di cattura esteso, capillare e ipertrofico come quello che mi sono costruito in questi ultimi anni può essere molto potente e indubbiamente garantisce sicurezza perché si rivela un efficace strumento di dominio sul deserto. Può succedere però, come ho spiegato nel post precedente, che l'apparato di cattura entri in corto circuito: il mio apparato di cattura è cresciuto a tal punto da mettere fuori uso la macchina da guerra, sia da un punto di vista fisiologico (fuor di metafora il sovrallenamento ha provocato i danni al corpo con i quali sto facendo i conti), sia da un punto di vista esistenziale. E' proprio su quest'ultimo punto che si concentra la riflessione di questo post scaturita del tutto incidentalmente dalla presenza di Apparat a Bologna.
Nel mio caso infatti l'apparato di cattura ha striato in lungo e in largo il deserto tanto che ora che provo a percorrerlo, cercando nuove vie per la macchina da guerra nomade, mi ritrovo sempre sulle stesse strade e è proprio questo che continua a causare sofferenza. Devo invece spostarmi abbandonando una volta per tutte un apparato di cattura obeso e ormai obsoleto. Secondo questa prospettiva, non è la macchina da guerra a essere sconfitta (questo fin ora pensavo  nei momenti di sconforto più profondo...a ben vedere la macchina da guerra non conosce sconfitta perché non conosce battaglie) piuttosto è l'apparato di cattura che va smantellato e rifondato. In altre parole è necessario per me articolare una nuova dialettica tra spazio liscio e spazio striato affinché la macchina da guerra possa riprendere il suo nomadismo.
Forse rileggendo questo post a distanza di tempo non sarò neanche più in grado di decifrare questa metafora, l'importante però è che l'ipotesi formulata sia chiara per me ora così da verificarla e, se si rivelerà un'ipotesi veramente produttiva, allora continuerà a avere senso – una molteplicità di sensi – anche a distanza di tempo.
(dopo il salto continua il delirio...)

mercoledì 2 novembre 2011

Del perché non scrivo il blog


chi vuole scrivere non vuole scrivere questa opera, questo romanzo, vuole scrivere in generale, che è l’esperienza la più insensata e strana, però credo anche la più profonda. [...] nel voler scrivere in realtà c’è una specie di desiderio e di esperienza della possibilità. Voler scrivere significa volersi rendere la vita possibile.
Giorgio Agamben*
* tratto da un'intervista che si può leggere qui


Aporia: tracciare la cancellazione di una traccia.
Questo blog è nato come esperienza di possibilità, la possibilità di vivere nonostante io sia rimasto improvvisamente a corto di senso o, se volete, la possibilità di un senso a partire dalla mancanza di senso.
Sono passati ormai 6 mesi da quella stramaledetta domenica in cui una scossa insopportabile dietro la gamba sinistra mi ha lasciato succube di un cane rabbioso sempre attaccato letteralmente al culo. Prima che la sciatalgia mi colpisse correvo 3 / 4 volte a settimana per un totale di 35/40 km, andavo 3 volte in piscina per un totale di circa 7000/8000 metri, in bici 3 volte per 150/200 km; il triathlon era il senso, quasi esclusivo, della mia esistenza. Di colpo tutto ciò si è dovuto fermare; da un momento all'altro tutto il senso che avevo cercato faticosamente di costruire è venuto a mancare. Sono passati 6 mesi e ancora non sono tornato, né a correre, né a salire in bici; l'unica attività – poca e intermittente – che la mia schiena mi concede è la piscina e un po' di attrezzi in palestra. Già perché, dopo un paio di mesi, proprio quando il fuoco corrosivo della sciatalgia alla gamba sinistra sembrava essersi spento (non senza avermi lasciato un deficit di forza nell'estensione delle dita del piede e piccole fiammate di parestesie allo stinco che continuano a tornare), la mia schiena è entrata in corto circuito e sembra non volersi rimettere a posto: gli episodi di lombosciatalgia continuano fino a oggi.
Non sto a dire tutte le visite, gli esami, le diagnosi, le prognosi, le terapie. Quando ti svegli e senti dieci spine infilate tra la schiena e il culo e sai che rimarranno piante lì per tutta la tua giornata lavorativa e per tutto il resto della tua giornata, che ti faranno rinunciare a quell'ora di palestra in cui speravi almeno di fare quei 10 esercizi stupidi a carico 0 e che il giorno dopo starai ancora più male, è difficile trovare un senso - una molteplicità di sensi - per quanto mi stia sforzando. Il dolore è  ciò che muove la ricerca di senso, ciò che anima il mio desiderio - scrivere, ma è anche la causa per cui non scrivo  più: la mia condizione mi impedisce di trovare un senso oltre al senso. Non trovo più senso nel cercare un senso nella musica, nei commenti a ciò che succede nel mondo, nel raccontare come passo i miei fine settimana. In giro per la rete è pieno di gente che blogga delle stesse cose e anche molto meglio di me. Il mio senso era un altro, ora non mi è dato di viverlo e, più passa il tempo, più si allontana la possibilità di tornare a viverlo. Al suo posto il dolore fisico e l'immobilità che ne deriva. Per questo non scrivo più: perché sto cercando un senso nel dolore, che press'a poco è l'unica cosa che mi è rimasta vera, viva, profonda. Ciò significa abbandonare tutte le speranze di guarire o di stare meglio. Non vuol dire che non provo di tutto per star meglio ma che devo immergermi completamente nella rassegnazione come il cavaliere di Kierkegaard. L'unica via per vedere la luce è scavare più a fondo nell'abisso. Ciò richiede una disciplina e una forza oltre ogni limite – sicuramente oltre le mie capacità. Ogni tanto forse, come ho appena fatto, tornerò a scrivere, non più per render-mi la vita possibile, ma per scavare più a fondo nell'impossibilità di vivere.
Oneohtrix Point Never - Replica by Mexican Summer

martedì 4 ottobre 2011

RoBbot Week: il gran finale



Su internet non c'è né spazio né tempo per riflettere: se succede qualcosa devi vomitarla tutta subito altrimenti a te passa la voglia di raccontarla dopo 48 ore mentre quei 4 che leggono il tuo blog si sono rotti le palle già dopo 24. Così, anziché sparare minchiate su tutta una serie di illuminazioni musicali e esistenziali della scorsa settimana come avrei voluto fare, salto subito alla fine.

Briciola 2 Gran polpetta avvelenata finale: roBOt festival 4, serata di chiusura


Il (nuovo) Link è una macchina da guerra pensata per questo genere di eventi: megacapannone, un unico ambiente e un unico bar che si trasforma ben presto in un tritacarne (sì, c'è anche una specie di soppalco ma non è sfruttato per un cazzo e dopo una certa diventa un luogo triste triste per chi gli scappa da limonare duro o da dormire, per non dire altro). Sabato scorso l'hangar era pieno neanche dovesse arrivare l'Anticristo in persona e nel complesso direi che si respirava una delirante quanto gioiosa atmosfera: tutti mediamente fuori come culi, tutti presi mediamente bene, senza marcioni che nella propria fattanza sentissero il bisogno irrefrenabile di rompere i coglioni al prossimo travasando sull'altro la propria negatività traboccante...non capita spesso...quindi gran seratone, niente da dire tranne...tranne la musica ma questa è un'opinione personale e credo assolutamente minoritaria tra gli avventori della serata di sabato.
Ora, non vorrei passare per quello che sputa nel piatto dove sballa e se vi chiedete chi era quel deficiente esaltato attaccato alla transenna sotto il palco...beh smettete di chiedervelo, tanto c'eravamo tutti e tutte sotto quella consolle. Non posso però fare a meno di denunciare, ex post, una certa povertà di concetti e una certa freddezza nella tech-house da superclub. Certo che già lo sapevo. Sabato però ne ho avuto la conferma lampante.
La storia è questa: chi come il sottoscritto ha gettato alle ortiche tutti, o quasi, i voucher formativi che la vita offre spendendoli in party illegali si ritrova in una serata come quella di sabato a provare un certo imbarazzo. La prima cosa che fai è fiondarti a cercare invano un cassone al quale aggrapparti invece...prodigio: la musica c'è ma non si vede! Cerchi di riprenderti dalla figura di merda che hai fatto con te stesso (e non solo) e provi a essere cool ma ben presto ti rendi conto che quel basso tondo tondo – obeso – non è proprio la pappa alla quale sei stato abituato. Intendiamoci, non sono troppo schizzinoso: bastano un paio di consumazioni per farmi andare giù anche la Macarena (c'era proprio bisogno di questo link?) se ho intenzione di divertirmi. Così mi ritrovo ben presto a dimenarmi neanche fossi il capro sacro a Dioniso al cospetto di mostri ancora più sacri della techno, gente che fino a ieri – ma anche oggi – per me potrebbero essere i cugini bastardi di tua zia. Da Seth Troxler, almeno all'inizio del set, ho sentito un paio di passaggi un po' più breakkati e un po' di glitch qua e là ma per il resto la ricetta è sempre quella – semplice ma efficace – da 30 anni a questa parte, da Detroit a Berlino passando per Ibiza: accompagnare l'ascoltatore in alto lungo vortici di suoni psichedelici più o meno vertiginosi per poi lanciarlo nel vuoto del bassone obeso e tamarro testé menzionato. Boom boom boom, tutti contenti fino all'alba in compagnia di quel mattacchione di Tobi Neumann.
Quando esco alle 7 di mattina non sono affatto sicuro di sapere su quale pianeta mi trovo. Mi guardo intorno e vedo pupille ancora grandi come quelle degli alieni  di Area 51 (il primo link dovrebbe far ridere, il secondo è per fare  pari con quello della Macarena...Oh no! Di nuovo!) allora mi ricordo perché preferivo i party dove potevi fare il cazzo che ti pareva fino alle 4 del pomeriggio e avere tutto il tempo per riacchiapparti. Non mi resta che tornare a casa a piedi accarezzato dal sole e dall'aria frizzantina del Pilastro: Exit Planet Dust (questo invece è solo nostalgia gratuita).

domenica 2 ottobre 2011

RobBot Week

Post multiplo e riassuntivo della settimana che si è appena chiusa in tutta la sua gloria robotica. La doppia b nel titolo cristallizza l'abbondanza di robbe da  bloggare a cominciare dai tentativi più o meno riusciti di intossicazione alcolica e quelli riuscitissimi di perdita di sonno, forma fisica, dignità e credibilità agli occhi di amici, parenti + o – stretti, la società in generale. Ma tutto questo è la norma in una settimana del genere e quindi mi concentrerò sulle briciole che ho raccolto in questi giorni lungo la via della ricerca del non-senso dell'esistenza nella vana speranza di placare una fame inesauribile di significato...e con questo il metaforone gratuito da 3 quintali l'abbiamo sganciato. L'altra cosa da scaricare immediamante in queste prime righe è la coscienza sporca per non essere stato a vedere SBTRKT ieri sera a Palazzo Re Enzo  e così anche il breve e triste capitolo su ciò che non ho fatto ma che avrei voluto tanto fare si chiude.


Briciola 1: Elektronische Staubband

Il festival si è aperto in grande stile mercoledì sera al comunale. Fa sempre un certo effetto assistere a un evento di musica del terzo millennio in una cornice concepita per spettacoli e musica di 200 anni fa. Ci si sente fuori tempo e fuori luogo come un cappellaio matto; è come contemplare Armageddon da una collina e dirsi tra sé e sé «Merda! È la fine del mondo, siamo fottuti!» e provare però un inspiegabile, insano e diabolico senso di appagamento personale.
Yann Tiersen e il gioioso baraccone analogico dell'Elektronische Staubband hanno piacevolmente solleticato i miei neuroni all'ascolto, soprattutto per la prima mezz'ora grazie ai toni electropop e kraut à la Kraftwerk. La performance ha poi virato, più scontatamente, verso acque minimal e ambient. I passaggi con le vocine modulate stile James Blake hanno fatto la loro porca figura, la camiciola grunge e i capelli sudici del Sig. Tiersen un po' meno.
 
Dopo il teatro (wow! Fa molto highbrow!) ho chiuso la serata al Bartleby (molto lowbrow e agit-prop!), un ameno luogo di ritrovo – pardon, aggregazione sociale – di cui forse parlerò nel prossimo post. Basterà dire per ora che in questa circostanza ho sferrato un primo duro colpo al mio senso di responsabilità intrattenendomi fino alle 2 di notte in un infrasettimanale con ripercussioni disastrose sulla mia produttività impiegatizia.

lunedì 26 settembre 2011

Retrocyberpunk


Oltre a Neon Indian con il video di Polish Girl per la regia di Tim Nackashi, altri musicartisti di recente hanno scelto il linguaggio del cyberpunk per i loro clip; ecco dunque la mia mini-rassegna e la mia mini-riflessione.


Song of Los di Apparat mi ha emozionato molto, fin dal primo ascolto, ancor prima di aver visto il video dal gusto agrodolce di Saman Keshavarz. La canzone risalta tra gli altri pezzi di Devil's Walk; un album che non ti aspetti, molto cantanto, molto diverso (inferiore?) rispetto a Walls ma che ha i suoi momenti (vedi anche Candil de la Calle e Ash/Black Veil) nonostante l'amalgama poco convincente. A tratti ricorda i Coldplay e, no, non è affatto un pregio per i miei standard! D'altra parte un artista che prova nuove strade, anche se a volte troppo pop-scivolose, per me merita sempre attenzione quindi: respect per Apparat anche soltanto per aver cambiato pelle.


Non poteva scegliere una citazione cinematografica più adatta alla sua musica  e al suo nome d'arte, entrambi molto anni ottanta, Seth Haley che con il video di Brokendate (regia di Will Joines) si rifà a Blade Runner. Con il progetto Com Truise del resto Haley ha espressamente fatto della rievocazione retromaniacale delle sonorità anni ottanta la sua cifra artistica; un Galactic Melt dissonante e già da sempre incompleto di epoche e stili musicali diversi:
Musicanti come quelli sopra citati, nonché i registr dei rispettivi video, evidentemente trovano nelle rievocazioni retromaniacali del cyberpunk anni ottanta il corrispettivo visivo di uno stile musicale che, altrettanto retromaniacalmente, strizza l'occhio ai suoni synth, al pop o alla New Wave degli stessi anni. Si nota un'aporia in tutto questo; una reciproca penetrazione di epoche e prospettive sul futuro: trenta anni fa certa fantascienza e certe sonorità servivano per immaginare il futuro, ora che il futuro è presente esso trova nello sguardo del passato sul futuro una forma per esprimersi. Ognuno trarrà le proprie conseguenze. Non abbiamo più nulla da inventare? O forse proprio nell'impossibilità di immaginare qualcosa di nuovo e nella pulsione nostalgica a riscrivere, l'epoché in cui viviamo trova il suo senso: un perpetuo riciclo di sensi da rottamare?
Si continui dunque felicemente a riassemblare; il futuro sembrerà un gigantesco Frankenstein fatto di membra del passato. Mica tanto male in fondo.

sabato 24 settembre 2011

Ilpostdelvenerdì: Rustie


It doesn't sound like an explosion in a Game Boy factory – that would just be a big bang – but it's what it would sound like in an ideal world.
(The Guardian)
Una lettura molto impegnata per questo finesettimana di fine/ritorno estate, Tim Jonze del Guardian propone il suo punto di vista su un dibattito estetico e epistemologico di portata epocale: determinare il confine tra dubstep e postdubstep.
A chi invece non importa una mazza - e giustamente - basterà ascoltare la track di Rustie, chiudere gli occhi e immaginare migliaia di Game Boy che esplodono. Un esercizio particolarmente indicato e salutare per scaricare lo stress della settimana lavorativa.
Segnalo inoltre che Rustie è candidato all'oscar per il miglior titolo di canzone mai inventato: Inside Pikachu's Cunt.

martedì 20 settembre 2011

Consigli per i non acquisti


Aaargh! Inizio settimana fin troppo succulento di novità musicali per essere vero. L'abbondanza mi spinge a essere altruista e generoso tanto niente mi appartiene e tutto è gratis. Ecco dunque i miei consigli per i non acquisti di musica in stream, 100% legale, da non credere. L'anteprima di Father, Son, Holy Ghost dei Girls è già su da un po' di giorni quindi vi consiglio di affrettarvi. Per me è stato l'album della settimana appena passata e tutto lascia pensare che sarà tra i miei preferiti ancora a lungo: indie rock schietto, ricchissimo di influenze, sofisticato e allo stesso tempo di una sincerità disarmante.
Bravi!
Se in fondo all'anima avete ancora un pezzettino di adolescenza incastrata da qualche parte i Twin Sister sono per voi. Un indie pop così spensierato  e positivo che cura l'anima fin dal titolo: In Heaven. Ecco lo stream via Steregomma.

Sul versante elettronico da Devil's Walk di Apparat mi aspetto qualcosa di buono. Curiosissimo di sentire la proposta del berlinese Sascha Ring...ma sulla preview di NPR è lui o Rino Gaetano?

Di palo in frasca: KCRW presenta l'ultimo dei Wilco, alfieri dell'alternative che hanno segnato piacevolmente i miei anni 00. The Whole Love lo devo ancora ascoltare. Mi segno anche questo tra i compiti a casa e già che ci siamo, dalle parti KCRW trovate anche Hysterical dei Clap Your Hands Say Yeah...troppa grazia...

La sorpresa più grande però l'ho ricevuta ieri da Nialler9 che segnalava l'anteprima dell'ultimo dei Modeselektor. Fate un favore alle vostre orecchie (alle vostre chiappe e ai vostri neuroni): Monkeytown!
...Ma cosa vedo là giù in fondo?! Date italiane di un tour?!...e allora: “Buona camicia (di forza) a tutti!”

sabato 17 settembre 2011

Ilpostdelvenerdì1: Neon Indian – Polish Girl


Potrebbe essere una buona idea mandare fuori un post con cadenza fissa. Ecco quindi Ilpostdelvenerdì, il primo di una (lunga?) serie che arriva molto poco elegantemente in ritardo: il sabato! Diciamo che conta il pensiero. Dico anche che Ilpostdelvenerdì vorrebbe essere la mia personale cartolina introduttiva e benaugurante del weekend a venire.
Weekend: angloprestito ormai diffusissimo e sputtanatissimo che circola fluido e ammiccante tra amici e colleghi con la sua carica di promesse, generalmente tutte disattese. Non ho un senso nuovo da aggiungere o un significato nascosto da rivelare: anche per me, per ora, il weekend non è che (finalmente) sonnecchiare, svagare, svariare. Non è stato sempre così e spero tornerà a essere qualcosa di diverso da ora; spero tornerà a essere un po' più come era prima ma mi fermo qui; non voglio dire di più.
Sicuramente ciò che il weekend è sempre stato - e spero continui a esserlo a lungo, fin dall'età dell'oro della disco, è qualcosa di ballereccio. Questa dunque la natura che ho scelto per Ilpostdelvenerdì: beats, floorfilling, disimpegno, baccanale...
Neon Indian sa sicuramente vendere il suo prodotto; il video promozionale vhs-vintange del PAL198X lo dimostra. Invece, il video cyber-romantic-punk di Polish Girl – pezzo ufficiale del primo postdelvenerdì, è la cifra di tutta l'estetica di Alan Palomo: una costante allussione retromaniacale agli Eighties, compresi il suo ciuffone e le mosse sexy di cui fa sfoggio, sia nel video, sia da Fallon (vedi sotto) dove ricompare anche il PAL198X…maledetto marketing...! Quasi dimenticavo: il nuovo album di Neon Indian, Era Extraña, si può puppare in streaming su NPR, ancora per pochi giorni credo, giusto il tempo di farci sballettare per un weekend!

martedì 13 settembre 2011

Beirut: musica nomade per timpani viaggianti




Il video di Santa Fe esce in questi giorni proprio mentre sto degustando l'ultimo disco dei Beirut.
Al primo ascolto The Ripe Tide non è che mi abbia fatto proprio impazzire. Dopo essere stato stregato dalla magia di Gulag Orkestar e The Flying Club Cup le mie aspettative erano alte e, come spesso accade in questi casi, sono state quasi del tutto deluse. Riascoltando ora The Rip Tide con più calma e attenzione, direi che in fondo non suona così male come mi era sembrato in un primo momento anche se, dopo nove pezzi – magna insoddisfazione, continuo a arrivare alla fine dell'album chiedendomi: “tutto qui?”. In The Rip Tide è tutto ben confezionato e non è difficile trovare un po' di tutto quello che ti aspetti - le atmosfere balcaniche, la voce intensa di Condon, il romanticismo dei testi - ma  niente sembra incidere veramente, come se questa volta la musa si sia tenuta a cortese distanza dal buon Zach.
La novità più significativa è il flirt con l'indie pop di cui Santa Fe è il frutto più maturo e forse anche quello più insipido. Con un video vintage in cui si mescolano surrealismo buñueliano, commedia sexy all'italiana, Bolliwood e chissà cos'altro - basta che abbia quell'irresistibile aura di nostalgia, come insegna Simon Reynolds - i Beirut provano a illuminare il lato scherzoso e  ironico della loro ricerca musicale. Se però con la sua leggerezza ci ricorda quanto sia importante evitare di prendersi troppo sul serio, il video trasmette in modo evidente anche la mancanza di densità che segna l'intero LP.
Già provo a immaginare come potrà essere il prossimo album dei Beirut; sono convinto che hanno ancora molte storie da raccontare e molti luoghi da esplorare con la loro musica nomade: posti esotici, magici, polverosi e non sempre ospitali. Che sia un villaggio slavo, una campagna provenzale o una spiaggia mediterranea, spero che i Beirut continuino a viaggiare e a farmi viaggiare a lungo...Bon Voyage!

sabato 10 settembre 2011

Non conciliare nulla...


Become the rising sun
We will become, become
Become the damage done
We will become, become

Become the river sway
We will become, become
Become the love we made
We will become, become

Become the endless chain
We will become, become
Become forgotten name
We will become, become

Become sinner and the saint
We will become, become
Become bandage and the blade
We will become, become

Become word and the breath
We will become, become
Become the card and the chest
We will become, become

Become the liked and the loathed
We will become, become
Become the bruise and the blow
We will become, become

Become the fruit and the fall
We will become, become
Become the caress and the claw
We will become, become

Become glory and the guilt
We will become, become
Become the blossom and the wilt
We will become, become

Become both right and wrong
We will become, become
Become the sound and the song
We will become, become

Become tooth and the tongue
We will become, become
Become the target and the gun
We will become, become

Become so cruel and kind
We will become, become
Become the weary and the wild
We will become, become

Become allegiance and doubt
We will become, become
Become the whisper and the shout
We will become, become

Become the honest and the veiled
We will become, become
Become the hammer and the nail
We will become, become

Become the blessing and the curse
We will become, become
Become but it could be worse,
We will become, become

Become the blood and the bone
We will become, become
Become an ice cream cone
We will become, become

Become the way and the wall
We will become, become
Become a disco ball
We will become, become

Become both now and then
We will become, become
Become again and again
We will become, become
Your Fake Name Is Good Enough For Me, Iron & Wine, Kiss Each Other Clean (2011, 4AD)

mercoledì 7 settembre 2011

Chi ha paura di Kurt Cobain?



I Purity Ring sono stati per me una rivelazione doppiamente potente: da un lato suonano come la cosa più vicina ai Knife o alla migliore Bjork che abbia ascoltato negli ultimi tempi, dall'altro dimostrano una vitalità e un'originalità sorprendente. Per queste stesse ragioni i Purity Ring misurano la distanza che mi separa dalle tesi di Simon Reynolds sulla fine della storia (della musica). Forse un giorno leggerò il suo Retromania: Pop Culture's Addiction to Its Own Past; nel frattempo mi accontento dell'interessantissimo articolo The Ghost of Teen Spirit: Why We Should Let Kurt Cobain Rest in Peace che mi ha dato molto da riflettere in questi giorni.
A detta di Reynolds, l'attuale caos musicale si caratterizza per una fantasmatica, dominante nostalgia per tutto ciò che è stato + o - fico in un tempo + o - lontano da cui deriva una drammatica mancanza di novità significative nel panorama sonoro dei nostri giorni. Mi chiedo  invece se nel cuore magmatico della musica in quest'era digitale non si nasconda proprio la chiave per una liberazione dal peso della dialettica e della storia, dall'autorialità, dall'autorità e, in ultima analisi, dalle gerarchie e dal potere.
La web-esplosione di micro-trends che si sovrappongono e si susseguono inarrestabili cela un potenziale di cui non siamo ancora in grado di stabilire la portata. In questa grande molteplicità di revivals, hypes, trends e microgeneri alla lunga forse si scioglieranno finalmente le ansie legate all'originalità e all'autenticità per una vera emancipazione: nella riscoperta del passato c'è sempre infatti una reinvenzione; nell'eterno ritorno dell'uguale è già da sempre in moto un processo selettivo che rende leggero ciò che prima era pesante. Potrebbe essere questa la strada per un nuovo rapporto - più gioioso - con la storia, i generi, il linguaggio e le forme.
La valenza rivoluzionaria di questo fenomeno non va sottovalutata: la libertà di ri-assemblare incessantemente nuova musica, nuove arti e nuove identità dai frammenti del passato potrebbe infatti lasciare il potere senza appigli; la nostra superficie sarebbe troppo spigolosa o troppo liscia per essere afferrata. Allora i fantasmi non ci farebbero più paura...e poi chi l'ha detto che i fanstasmi vogliono essere lasciati in pace? Magari a loro piace ri-vivere e ri-morire a ogni apparizione. Noi stessi saremo fantasmi e allo stesso tempo corpi vivi, guizzanti e indomabili...
Let it seep through your sockets and earholes
into your precious, fractured skull
Let it seep, let it keep you from us
Patiently heal you
Patiently unreel you
Prima che questo hype passi, forse è già passato, o forse sta passando proprio mentre si avvia il download (consigliatissimo anche l'ultimo lancio: Belispeak)...godiamoci i Purity Ring!

Lofticries by PURITY RING

...e se non dovesse bastare...

Ungirthed by PURITY RING