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mercoledì 2 maggio 2012

Here We Go Magic - How Do I Know



How do I know if I love you? La domanda è semplice e straordinariamente affascinante.
Non so come so certe cose. Esisto; mi trovo cioè gettato al di sotto di un orizzonte in cui conosco le cose “innanzi tutto e per lo più”.
Questa conoscenza è tutto ciò di cui abbiamo bisogno e, allo stesso tempo, è drammaticamente insufficiente (angosciante). In realtà non è importante quanto o cosa sappiamo ma la vertiginosa relazione tra ciò che sappiamo e il piano di immanenza della nostra conoscenza. Il piano di immanenza è sempre ineffabile in una certa misura, sempre differente e deferito rispetto a ciò che sappiamo. La conoscenza, a sua volta, non è mai del tutto contenuta all'interno del piano ma mostra una tendenza impertinente a oltrepassare i limiti del piano in cui si iscrive.

When all these things come and go?
You can't stand them toghether in some neat little row

Il clip poi mette di fronte a un'altra domanda, inquietante: “Come sa l'uomo del video che deve fare ciò che fa alla fine del video?”. Di fronte a questa domanda, “timore e tremore”.
Sappiamo che amiamo e, senza sapere perché, ci prendiamo cura delle cose che amiamo. Sappiamo anche però di dover distruggere le cose che amiamo, senza un vero perché, ma sapendo che è così che deve essere.

giovedì 19 aprile 2012

Fuck Buttons - Flight of the Feathered Serpent




Ancora sul tempo.

Il tempo puro dei Fuck Buttons
Delfini che solcano le onde. Trovarsi nello scorrere ma anche superarsi.
Augenblick.
L'attimo in cui l'eterno e l'adesso si toccano.

Thanks to Mike for the tip.

martedì 3 aprile 2012

Rompere il silenzio

Retrograde-screenshot_slide

 Pensiero del mattino:
"Davvero?!" Gridò il Silenzio incredulo prima di morire. Nacque subito un altro Silenzio che aveva una gran voglia di gridare ma non poteva farlo per non morire.
Svarione web del mattino:
http://thirdworlds.net/retrograde/
L'aporia del silenzio e la macchina da guerra sonora: l'una di fronte all'altra, l'una intrecciata all'altra. C'è della decostruzione. C'è della speranza.


We created a deconstructive musical piece called RETROGRADE, conceptualized and executed by Death Grips and coded by Jacob Ciocci (Extreme Animals). It’s an infinite GIF sampler. There are 109 loops that you can start and stop at will. Depending on the number of loops you trigger and the way you time them, an infinite number of visual/audio combinations are possible.
It’s inspired by Mercury being in retrograde right now (until April 4, 2012). The piece is an expression of the infinite/fractal nature of every moment in time. When creating music, we are sticking/unsticking ourselves to endless time snakes—the idea that the smallest/tiniest of moments contains everything in the universe—Progress/becoming UNSTUCK.
The piece itself is a musical instrument. Our real performances are disassembled, mangled, and thrown back together in a renegade way. We recommend the “PLAY ALL” button. This is exactly how we create our art. It’s dirty, chaotic, and constantly on the brink of catastrophic failure. We encourage others to deconstruct our ideas and this piece in similar ways. We are excited about people creating their own content out of this device. It’s not about the machine itself but the process of exploration. 
(http://thecreatorsproject.com/blog/noise-rap-trio-death-grips-debuts-a-music-video-in-109-gif-pieces)

domenica 6 novembre 2011

Ipotesi per un'applicazione esistenziale del concetto di apparato di cattura


Al posto di questo post doveva esserci la recensione del concerto di Apparat. Invece, proprio Apparat ha prodotto questo post.
Per tutta la giornata di ieri e per tutto il concerto non potuto resistere agli echi deleuziani del nome d'arte di Sasha Ring è ho continuato a produrre associazioni su questa singolare coincidenza. Il risultato è questo post in cui cercherò di formulare un'ipotesi strategica che serva a affrontare l'empasse personale e esistenziale descritta nel post precedente.
Un apparato di cattura esteso, capillare e ipertrofico come quello che mi sono costruito in questi ultimi anni può essere molto potente e indubbiamente garantisce sicurezza perché si rivela un efficace strumento di dominio sul deserto. Può succedere però, come ho spiegato nel post precedente, che l'apparato di cattura entri in corto circuito: il mio apparato di cattura è cresciuto a tal punto da mettere fuori uso la macchina da guerra, sia da un punto di vista fisiologico (fuor di metafora il sovrallenamento ha provocato i danni al corpo con i quali sto facendo i conti), sia da un punto di vista esistenziale. E' proprio su quest'ultimo punto che si concentra la riflessione di questo post scaturita del tutto incidentalmente dalla presenza di Apparat a Bologna.
Nel mio caso infatti l'apparato di cattura ha striato in lungo e in largo il deserto tanto che ora che provo a percorrerlo, cercando nuove vie per la macchina da guerra nomade, mi ritrovo sempre sulle stesse strade e è proprio questo che continua a causare sofferenza. Devo invece spostarmi abbandonando una volta per tutte un apparato di cattura obeso e ormai obsoleto. Secondo questa prospettiva, non è la macchina da guerra a essere sconfitta (questo fin ora pensavo  nei momenti di sconforto più profondo...a ben vedere la macchina da guerra non conosce sconfitta perché non conosce battaglie) piuttosto è l'apparato di cattura che va smantellato e rifondato. In altre parole è necessario per me articolare una nuova dialettica tra spazio liscio e spazio striato affinché la macchina da guerra possa riprendere il suo nomadismo.
Forse rileggendo questo post a distanza di tempo non sarò neanche più in grado di decifrare questa metafora, l'importante però è che l'ipotesi formulata sia chiara per me ora così da verificarla e, se si rivelerà un'ipotesi veramente produttiva, allora continuerà a avere senso – una molteplicità di sensi – anche a distanza di tempo.
(dopo il salto continua il delirio...)

mercoledì 2 novembre 2011

Del perché non scrivo il blog


chi vuole scrivere non vuole scrivere questa opera, questo romanzo, vuole scrivere in generale, che è l’esperienza la più insensata e strana, però credo anche la più profonda. [...] nel voler scrivere in realtà c’è una specie di desiderio e di esperienza della possibilità. Voler scrivere significa volersi rendere la vita possibile.
Giorgio Agamben*
* tratto da un'intervista che si può leggere qui


Aporia: tracciare la cancellazione di una traccia.
Questo blog è nato come esperienza di possibilità, la possibilità di vivere nonostante io sia rimasto improvvisamente a corto di senso o, se volete, la possibilità di un senso a partire dalla mancanza di senso.
Sono passati ormai 6 mesi da quella stramaledetta domenica in cui una scossa insopportabile dietro la gamba sinistra mi ha lasciato succube di un cane rabbioso sempre attaccato letteralmente al culo. Prima che la sciatalgia mi colpisse correvo 3 / 4 volte a settimana per un totale di 35/40 km, andavo 3 volte in piscina per un totale di circa 7000/8000 metri, in bici 3 volte per 150/200 km; il triathlon era il senso, quasi esclusivo, della mia esistenza. Di colpo tutto ciò si è dovuto fermare; da un momento all'altro tutto il senso che avevo cercato faticosamente di costruire è venuto a mancare. Sono passati 6 mesi e ancora non sono tornato, né a correre, né a salire in bici; l'unica attività – poca e intermittente – che la mia schiena mi concede è la piscina e un po' di attrezzi in palestra. Già perché, dopo un paio di mesi, proprio quando il fuoco corrosivo della sciatalgia alla gamba sinistra sembrava essersi spento (non senza avermi lasciato un deficit di forza nell'estensione delle dita del piede e piccole fiammate di parestesie allo stinco che continuano a tornare), la mia schiena è entrata in corto circuito e sembra non volersi rimettere a posto: gli episodi di lombosciatalgia continuano fino a oggi.
Non sto a dire tutte le visite, gli esami, le diagnosi, le prognosi, le terapie. Quando ti svegli e senti dieci spine infilate tra la schiena e il culo e sai che rimarranno piante lì per tutta la tua giornata lavorativa e per tutto il resto della tua giornata, che ti faranno rinunciare a quell'ora di palestra in cui speravi almeno di fare quei 10 esercizi stupidi a carico 0 e che il giorno dopo starai ancora più male, è difficile trovare un senso - una molteplicità di sensi - per quanto mi stia sforzando. Il dolore è  ciò che muove la ricerca di senso, ciò che anima il mio desiderio - scrivere, ma è anche la causa per cui non scrivo  più: la mia condizione mi impedisce di trovare un senso oltre al senso. Non trovo più senso nel cercare un senso nella musica, nei commenti a ciò che succede nel mondo, nel raccontare come passo i miei fine settimana. In giro per la rete è pieno di gente che blogga delle stesse cose e anche molto meglio di me. Il mio senso era un altro, ora non mi è dato di viverlo e, più passa il tempo, più si allontana la possibilità di tornare a viverlo. Al suo posto il dolore fisico e l'immobilità che ne deriva. Per questo non scrivo più: perché sto cercando un senso nel dolore, che press'a poco è l'unica cosa che mi è rimasta vera, viva, profonda. Ciò significa abbandonare tutte le speranze di guarire o di stare meglio. Non vuol dire che non provo di tutto per star meglio ma che devo immergermi completamente nella rassegnazione come il cavaliere di Kierkegaard. L'unica via per vedere la luce è scavare più a fondo nell'abisso. Ciò richiede una disciplina e una forza oltre ogni limite – sicuramente oltre le mie capacità. Ogni tanto forse, come ho appena fatto, tornerò a scrivere, non più per render-mi la vita possibile, ma per scavare più a fondo nell'impossibilità di vivere.
Oneohtrix Point Never - Replica by Mexican Summer

sabato 10 settembre 2011

Non conciliare nulla...


Become the rising sun
We will become, become
Become the damage done
We will become, become

Become the river sway
We will become, become
Become the love we made
We will become, become

Become the endless chain
We will become, become
Become forgotten name
We will become, become

Become sinner and the saint
We will become, become
Become bandage and the blade
We will become, become

Become word and the breath
We will become, become
Become the card and the chest
We will become, become

Become the liked and the loathed
We will become, become
Become the bruise and the blow
We will become, become

Become the fruit and the fall
We will become, become
Become the caress and the claw
We will become, become

Become glory and the guilt
We will become, become
Become the blossom and the wilt
We will become, become

Become both right and wrong
We will become, become
Become the sound and the song
We will become, become

Become tooth and the tongue
We will become, become
Become the target and the gun
We will become, become

Become so cruel and kind
We will become, become
Become the weary and the wild
We will become, become

Become allegiance and doubt
We will become, become
Become the whisper and the shout
We will become, become

Become the honest and the veiled
We will become, become
Become the hammer and the nail
We will become, become

Become the blessing and the curse
We will become, become
Become but it could be worse,
We will become, become

Become the blood and the bone
We will become, become
Become an ice cream cone
We will become, become

Become the way and the wall
We will become, become
Become a disco ball
We will become, become

Become both now and then
We will become, become
Become again and again
We will become, become
Your Fake Name Is Good Enough For Me, Iron & Wine, Kiss Each Other Clean (2011, 4AD)

venerdì 12 agosto 2011

La rivolta ai tempi del biopotere



In questo tempo di povertà puoi goderti la rivolta da infinite cyberangolazioni: i tweet, i canali su Flickr, le mappe geopinnate che si aggiornano in tempo reale, i serratissimi comunicati di Cameron, le analisi socio-psico-post-marxiste-pedagogico-e-allarmistico-sociali più disparate (dal guazzabuglio mi sento di salvare almeno un articolo). La mia impressione però è che gli strumenti culturali con cui si guarda ai fatti di questi giorni siano drammaticamente inadatti e inattuali. Allora mi è venuto in mente un uomo che nel secolo passato ha provato a rinnovare le nostre cassette degli attrezzi; le considerazioni che seguono sono fortemente influenzate dalle sue idee.
Il biopotere, in un unico gesto, cancella la vita (zoé) dell’uomo animale politico per garantire la vita (bios) della specie umana. Il biopotere non ha bisogno di ghetti. Il biopotere non ha più neanche bisogno, non come 150 anni fa almeno, della famiglia come perno sociale e istituzione di controllo. Il biopotere ha svuotato dall'interno il conflitto politico e i meccanismi di rappresentanza. Il biopotere è impalpabile e fluido, solo così può garantire la produttiva sopravvivenza di tutti e la sua stessa sopravvivenza. Di conseguenza la rivolta ai tempi del biopotere esplode a macchia di leopardo un po' ovunque, in luoghi fino a qualche anno fa considerati modelli positivi di convivenza multietnica. La rivolta ai tempi del biopotere non è fatta da gruppi razziali o sociali ben identificabili: dai 12 anni in su tutti giocano al tutti contro tutti. Nella rivolta ai tempi del biopotere lo scontro diretto con l'autorità non è indispensabile, almeno fino a quando il saccheggio può protrarsi indisturbato. La rivolta ai tempi del biopotere non rivolta niente: se sei abbastanza (s)pregiudicato puoi ottenere molto rapidamente e con mezzi violenti beni di consumo che normalmente non puoi permetterti o che potresti avere solo faticando come un somaro per mesi. Nel frattempo i tuoi vicini minimamente dotati di buon senso hanno tweetato un gruppo di iniziativa per ripulire il quartiere mentre i tuoi vicini Sikh dotati di sciabole affilatissime hanno preso al volo l'occasione per sfoderare i loro cimeli e farsi fotografare davanti al tempio di quartiere in pose decisamente poco amichevoli.
In conclusione, il biopotere esce dalla rivolta senza un graffio, al più c’è stato un cortocircuito: la rivolta del bios contro l’ambiente plasmato dal biopotere in cui il  bios stesso è immerso. La zoé invece è ancora lontana dall’essere liberata; forse in futuro, in modo tangenziale, a partire dalla breccia aperta dalla biorivolta, l’animale politico potrà rompere la superficie sotto alla quale è stato rimosso ma sono pessimista in proposito. Alla luce della mia interpretazione l'unica previsione che mi sento di fare è che le biorivolte saranno sempre più diffuse e frequenti nei prossimi anni quindi prepariamoci a esse con gli strumenti giusti: in una mano avremo tutti un blackberry, nell'altra, a seconda delle preferenze, una molotov, uno spazzolone, o una scimitarra da Sandokan: get ready.

Dopo il salto una selezione musicale appropriata al tema.

lunedì 8 agosto 2011

L'amore liberato (parte 2): l'amore oltre l'amore


E' ora di portare il mio  itinerario di pensieri sull'amore  almeno a un approdo provvisorio.
Nel precedente post finivo col chiedermi se era possibile pensare l'amore oltre l'amore. La risposta è sì e no allo stesso tempo. Il soggetto infatti parassita l'abisso di energia della grande molteplicità per sopravvivere però è vero anche che non è possibile attingere a questo pozzo senza fondo se non attraverso i modi della maschera: come potrei infatti dirti e dirmi il mio amore al di fuori del linguaggio dell'amore?
Non resta allora che immergersi nella maschera fino al logorio e alla frantumazione della stessa, appropriarsene impropriamente per farne un (ab)uso antiutilitaristico e afinalistico e ricreare ogni volta l'amore come nuovo. Non vedo altra scelta per liberare la grande molteplicità: sbrodolarsi di romanticismo, annegare nei momenti di solitudine quando, seduto a terra, vedi l'amore riflesso in una pozza d'acqua sporca accanto al tuo vomito, vivere di volta in volta  i modi dell'amore che senti affiorare da sotto la maschera. Allora forse si apriranno le crepe sulla superficie lucida di convenzioni accettate passivamente troppo a lungo e le contraddizioni di quell'amore che fa male all'amore resteranno nude, spogliate del loro senso.
Creare - questa è la grande redenzione dalla sofferenza, e il divenir lieve della vita. Ma perché vi sia colui che crea è necessaria molta sofferenza e molta trasformazione. [...] Davvero attraverso cento anime io ho camminato la mia via, e attraverso cento culle e dolori del parto. Molte volte ho già preso congedo: io conosco gli ultimi istanti che spezzano il cuore. Ma così vuole la mia volontà creatrice, il mio destino. (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

mercoledì 3 agosto 2011

L'amore liberato (parte 1): l'amore non esiste

Perchè l'amore? Perchè torno a pensare al tema più banale, più trito e svenduto da circa 3000 anni a questa parte?
Si è detto tutto ormai, anzi a pensarci bene si dicono sempre le stesse cose: "Meglio amare o essere amati?", "L'amore fisico o l'affinità spirituale?", "Amo chi o amo cosa?".
Ovvio che torno a pensarci - e ora mi metto anche a scriverci - perché,  in questo momento, amo qualcuno e quando dico “amo”, al di là delle circostanze, intendo: "provo quel generale, inspiegabile e incontrollabile stato di turbamento psicofisico e irresistibile attrazione nei confronti di una persona". Credo di aver reso l'idea.
Rimane comunque il fatto che la metafisica dell'amore è una storia chiusa, non si scappa, non c'è più nulla da dire a parte continuare a dire, continuare a struggersi in quella valle di lacrime dall'indiscutibile potere catartico che nell'epoca del dominio della tecnica chiamiamo romanticismo. E allora chi meglio di Bon Iver?...e allora facciamoci del male (pure in verisone karaoke), naturalmente dedicata al mio Skinny Love:



dopo il salto: le sconvolgenti quanto sconclusionate e provvisorie conclusioni del mio ragionamento