Oltre a Neon Indian con
il video di Polish Girl per la regia di Tim Nackashi, altri
musicartisti di recente hanno scelto il linguaggio del cyberpunk per
i loro clip; ecco dunque la mia mini-rassegna e la mia mini-riflessione.
Song of Los di Apparat mi
ha emozionato molto, fin dal primo ascolto, ancor prima di aver visto
il video dal gusto agrodolce di Saman Keshavarz. La canzone risalta
tra gli altri pezzi di Devil's Walk; un album che non ti
aspetti, molto cantanto, molto diverso (inferiore?) rispetto a Walls ma che ha i suoi momenti (vedi anche Candil de la Calle e Ash/Black Veil) nonostante l'amalgama
poco convincente. A tratti ricorda i Coldplay e, no, non è affatto un pregio per i miei standard! D'altra parte un artista che prova nuove strade, anche se a volte troppo pop-scivolose, per
me merita sempre attenzione quindi: respect per Apparat anche
soltanto per aver cambiato pelle.
Non poteva scegliere una
citazione cinematografica più adatta alla sua musica e al suo
nome d'arte, entrambi molto anni ottanta, Seth Haley che
con il video di Brokendate (regia di Will Joines) si rifà a Blade Runner. Con il
progetto Com Truise del resto Haley ha espressamente fatto della
rievocazione retromaniacale delle sonorità anni ottanta la sua cifra
artistica; un Galactic Melt dissonante e già da sempre incompleto di
epoche e stili musicali diversi:
Musicanti come quelli
sopra citati, nonché i registr dei rispettivi video, evidentemente
trovano nelle rievocazioni retromaniacali del cyberpunk anni ottanta il corrispettivo visivo di uno stile musicale che, altrettanto
retromaniacalmente, strizza l'occhio ai suoni synth, al pop o alla
New Wave degli stessi anni. Si nota un'aporia in tutto questo; una
reciproca penetrazione di epoche e prospettive sul futuro: trenta
anni fa certa fantascienza e certe sonorità servivano per immaginare
il futuro, ora che il futuro è presente esso trova nello sguardo del
passato sul futuro una forma per esprimersi. Ognuno trarrà le
proprie conseguenze. Non abbiamo più nulla da inventare? O forse
proprio nell'impossibilità di immaginare qualcosa di nuovo e
nella pulsione nostalgica a riscrivere, l'epoché in cui viviamo trova il
suo senso: un perpetuo riciclo di sensi da rottamare?
Si continui dunque
felicemente a riassemblare; il futuro sembrerà un gigantesco Frankenstein fatto di membra del passato. Mica tanto male in fondo.